17 febbraio 2012

Pensioni ritardate o Invecchiamento attivo?

Posto un testo scritto a dicembre 2011


A una settimana dal consiglio dei Ministri dello scorso 4 dicembre, la situazione è chiara a tutti: l’età media dei lavoratori italiani si alzerà. Questo perché un numero considerevole di baby boomers, i “ragazzi” nati negli anni seguenti il 1948, dovrà aspettare più del previsto per raggiungere il momento agognato della messa a riposo.
In prima battuta i detrattori di questa decisione chiamano in causa il rischio di disoccupazione giovanile: sembrerebbe infatti evidente che la permanenza di anziani al lavoro rappresenta un vero e proprio tappo che impedisce l’accesso di giovani. Altri scherzano sul fatto che gli uffici dovranno essere dotati di cateteri ed altri equipaggiamenti ad uso geriatrico.
Più o meno serie, tutte queste posizioni esprimono, oltre ad una naturale opposizione ad una norma che prevede un allungamento della vita lavorativa obbligatoria, il timore che il permanere per più tempo al lavoro rappresenti uno sforzo difficilmente supportabile per i lavoratori.
Di fronte a questi timori degli individui quali debbono essere le preoccupazioni delle organizzazioni ed in particolare delle aziende?
 Di sicuro non si potrà semplicemente far finta di niente, e né la prolungata aspettativa di vita, né le norme sui lavori usuranti potranno ovviare ad un dato di fatto: nei prossimi anni le organizzazioni dovranno fare i conti con un certo numero di lavoratori un po’ più stanchi di lavorare, un po’ più demotivati e sicuramente delusi di come sono andate le cose.  Le organizzazioni che occupano questi “mancati pensionati” potranno scegliere tra due diversi atteggiamenti: subire il problema passivamente, oppure prenderlo in mano e gestirlo.
Così come hanno già timidamente cominciato a fare alcuni enti pubblici, anche le aziende saranno chiamate ad impegnarsi nella gestione del cosiddetto invecchiamento attivo in azienda: un mix di tecniche motivazionali, revisione dei processi organizzativi e attenzione alle esigenze di un individuo che vede progressivamente ridurre il proprio potenziale, le proprie forze. L’Italia non sarà sola in questo percorso, già avviato in molto altri paesi europei, dove la questione di un ruolo attivo degli anziani nella società è stato posto da tempo, non solo in risposta ad una prolungata vita lavorativa bensì come elemento di una civiltà caratterizzata da un importante crescita dell’aspettativa di vita.
Ma questo potrebbe non bastare ancora. In alcune attività lavorative, il crescere dell’età diventa un vero e proprio ostacolo. A quel punto potrebbe rendersi necessario un processo di mobilità verso lavori più adatti a persone anziane. Un processo non facile da gestire, per la necessità di prevedere azioni orientative e formative, che le aziende non sono sicuramente in grado di gestire da sole. Gli enti formativi e quelli che si occupano di collocamento lavorativo, pubblici o privati che siano, dovranno diventare attori attivi in questo processo.
In conclusione, è evidente che una misura, come questa decisa dal governo, non porta semplicemente un risparmio, ma impone anche di cercare soluzioni a nuove problematiche. Il mondo imprenditoriale, abituato a raccogliere le sfide, saprà farlo anche in questa occasione. E’ fondamentale che non venga lasciato solo. E soprattutto, tutti gli attori dovranno muoversi molto velocemente. Infatti, la Commissione Europea ha sancito che il 2012 sia l’Anno dell’Invecchiamento Attivo. Questo significa che saranno dedicate molte risorse per affrontare il tema. Vi saranno incontri e convegni, ma verranno previsti anche finanziamenti per sperimentare soluzioni, attivare servizi, consentire un invecchiamento attivo che dia il massimo di soddisfazione agli individui e diventi una opportunità anche per le aziende.  

07 febbraio 2012