A
una settimana dal consiglio dei Ministri dello scorso 4 dicembre, la situazione
è chiara a tutti: l’età media dei lavoratori italiani si alzerà. Questo perché
un numero considerevole di baby boomers, i “ragazzi” nati negli anni seguenti
il 1948, dovrà aspettare più del previsto per raggiungere il momento agognato
della messa a riposo.
In
prima battuta i detrattori di questa decisione chiamano in causa il rischio di
disoccupazione giovanile: sembrerebbe infatti evidente che la permanenza di
anziani al lavoro rappresenta un vero e proprio tappo che impedisce l’accesso
di giovani. Altri scherzano sul fatto che gli uffici dovranno essere dotati di
cateteri ed altri equipaggiamenti ad uso geriatrico.
Più
o meno serie, tutte queste posizioni esprimono, oltre ad una naturale
opposizione ad una norma che prevede un allungamento della vita lavorativa
obbligatoria, il timore che il permanere per più tempo al lavoro rappresenti
uno sforzo difficilmente supportabile per i lavoratori.
Di
fronte a questi timori degli individui quali debbono essere le preoccupazioni
delle organizzazioni ed in particolare delle aziende?
Di sicuro non si potrà semplicemente far finta
di niente, e né la prolungata aspettativa di vita, né le norme sui lavori
usuranti potranno ovviare ad un dato di fatto: nei prossimi anni le
organizzazioni dovranno fare i conti con un certo numero di lavoratori un po’
più stanchi di lavorare, un po’ più demotivati e sicuramente delusi di come
sono andate le cose. Le organizzazioni
che occupano questi “mancati pensionati” potranno scegliere tra due diversi
atteggiamenti: subire il problema passivamente, oppure prenderlo in mano e
gestirlo.
Così
come hanno già timidamente cominciato a fare alcuni enti pubblici, anche le
aziende saranno chiamate ad impegnarsi nella gestione del cosiddetto
invecchiamento attivo in azienda: un mix di tecniche motivazionali, revisione
dei processi organizzativi e attenzione alle esigenze di un individuo che vede
progressivamente ridurre il proprio potenziale, le proprie forze. L’Italia non
sarà sola in questo percorso, già avviato in molto altri paesi europei, dove la
questione di un ruolo attivo degli anziani nella società è stato posto da
tempo, non solo in risposta ad una prolungata vita lavorativa bensì come
elemento di una civiltà caratterizzata da un importante crescita
dell’aspettativa di vita.
Ma
questo potrebbe non bastare ancora. In alcune attività lavorative, il crescere
dell’età diventa un vero e proprio ostacolo. A quel punto potrebbe rendersi
necessario un processo di mobilità verso lavori più adatti a persone anziane.
Un processo non facile da gestire, per la necessità di prevedere azioni
orientative e formative, che le aziende non sono sicuramente in grado di
gestire da sole. Gli enti formativi e quelli che si occupano di collocamento
lavorativo, pubblici o privati che siano, dovranno diventare attori attivi in
questo processo.
In
conclusione, è evidente che una misura, come questa decisa dal governo, non
porta semplicemente un risparmio, ma impone anche di cercare soluzioni a nuove
problematiche. Il mondo imprenditoriale, abituato a raccogliere le sfide, saprà
farlo anche in questa occasione. E’ fondamentale che non venga lasciato solo. E
soprattutto, tutti gli attori dovranno muoversi molto velocemente. Infatti, la
Commissione Europea ha sancito che il 2012 sia l’Anno dell’Invecchiamento
Attivo. Questo significa che saranno dedicate molte risorse per affrontare il
tema. Vi saranno incontri e convegni, ma verranno previsti anche finanziamenti
per sperimentare soluzioni, attivare servizi, consentire un invecchiamento
attivo che dia il massimo di soddisfazione agli individui e diventi una
opportunità anche per le aziende.
1 commento:
http://www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com/professioni24/lavoro/news/articolo_CC_6_2012_Treu.html
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