07 febbraio 2019

Tuzla, 25 maggio 1995

La lettura di questo articolo di Mario Boccia mi ha ricordato i giorni in cui ho fatto conoscenza con la guerra. Ero a Tuzla, in Bosnia Erzegovina. Era maggio del 1995.



Era un giorno di festa il 25 maggio 1995 a Tuzla. Una giornata di sole. Disturbata solo dalle detonazioni degli obici che cadevano attorno alla città. Dalle parti dell'aeroporto, a quanto riferivano alcuni colleghi francesi via radio.
Purtroppo era routine. Le esplosioni ci svegliavano il mattino, ci accompagnavano la giornata e ogni tanto si facevano sentire la notte. Più spesso detonazioni di fucile sulla linea di fronte, la notte. Gli obici non venivano sprecati. A Tuzla, comunque, erano poco efficaci, perché sale e sangue non vanno assieme (Tuzla viene dal turco Tuz, sale, di cui è pieno il sottosuolo). Purtroppo a marzo di quello stesso anno il detto era stato smentito. Un obice ben sparato ("granata" di mortaio in realtà) aveva ucciso 33 giovani reclute nella caserma cittadina. Pezzi di morti, e di vivi, erano arrivati in ospedale, dando l'occasione al personale sanitario di praticare un po' di medicina di guerra.
Ma il 25 maggio era un giorno di festa. Dopo un pigro risveglio, un pranzo tardivo e qualche ora ad ascoltare Radio Slon (radio Elefante) una emittente privata di Tuzla che alternava musica ex jugoslava (crvna Jabuka, dragovic, ....) alla ritrasmissione di virgin radio, intercettata da satellite, mi preparavo per andare dai vicini, nostri padroni di casa. Mama Lidjia :-) ci avrebbe offerto caffè turco e dolce. Ospitalità croata ai margini della orgogliosamente multietnica Tuzla.
A fare da contraltare alle detonazioni lontane, i rumori di un quartiere di periferia bosniaco. Le galline che razzolavano nei cortili, qualche urlo goioso di bambini che giocavano, l'abbaiare di un cane.  Nell'attesa delle colleghe Giuliana e Roberta ascoltavo Radio Slon e mi godevo il sole che filtrava dalla finestra attraverso i rami di un albero appoggiato alla casa. Quasi una sensazione di pace. Una sensazione quasi dimenticata dopo 25 giorni di presenza continua in una città semi assediata, a girare per villaggi a pochi passi dalla linea di fronte, per raggiungere i quali si dovevano percorrere strade sterrate alternative agli assi principali che spesso passavano per il territorio "nemico", In questo che una volta era un paese, e che ora era un susseguirsi di milizie, posti di blocco, divise, blindati, zone pericolose, eserciti, front line sights (con vista sulle trincee), frontiere segnate dagli armoured personal carriers dei caschi blu del Nord Bat, raggrupamento di effettivi dei paesi scadinavi che con il casco blu dell'ONU in testa esercitavano il mandato di peace keeping, mentre i fucili sparavano e i cannoni miravano la Kapija, la piazza centrale di Tuzla, senza mai beccarci.
E ora questo pomeriggio che sapeva di domenica, con il sole, i rumori della campagna, la prospettiva di qualche ora da passare con persone care che accoglievano gli ospiti italiani con quanto offriva il loro orto, il loro pollaio, e le loro tradizioni. Peccato il gracchiare della radio... non Radio Slon, la ricetrasmittente VHF che tutti gli "umanitari" in loco dovevano tenere accesa sulle frequenza del coordinamento UNHCR. La radio gracchiava perché aumentava il ritmo delle conversazioni. I francesi che erano andati al PX dell'aeroporto, ossia lo spaccio militare del battaglione norvegese che presidiava l'area, avevano dovuto usare starde alternative perché cadevano obici, sempre di più. I loro amici volevano assicurarsi che stessero bene. C'era nervosismo.

Il caffè turco ha il suo fascino. certo non per la polvere di caffè che inevitabilmente noi italiani, abituati al ritmo dell'espresso, ci ritroviamo in bocca perché non le diamo il tempo di depositarsi. Il fascino però c'è, e sta proprio nel tempo. Nel tempo che ci vuole a macinare 3, si 3, chicchi di caffè a tazza nel macinino tradizionale, nell'aroma che ne fuoriesce e che fa assaporare il sapore del caffè già prima che il caffè venga preparato. Il fascino del caffè turco risiede anche nell'obbligo di dimenticarlo nella tazzina, o nel bichierino, per evitare di ritrovarsi la bocca piena di melma di caffè e dare il tempo alla polvere di precipitare e lasciare il liquido più o meno "puro". Il fascino del caffè turco deriva dal fatto che richiede tempo. Tempo che viene usato per parlare, dialogare, scambiare opinioni, studiarsi, spiarsi, amarsi e odiarsi. Un'arte che nei balcani è stata affiancata ad ogni tipo di caffè, anche all'espresso, con risultati pessimi sulla tazzina di espresso, che viene bevuta ormai fredda, piena di zucchero e a volte con qualche residuo di cenere. La cenere è quella della sigarette che accompagnano ogni caffè ed ogni conversazione in Bosnia, come in gran parte dei Balcani. Vi dirò che il caffè alla turca l'ho bevuto anche in altri posti. Ci ho ritrovato sapori diversi, ma sempre la stessa capacità di creare convivialità.
Il caffè di Mama Lidija era buono, come al solito. E così i dolcetti che l'accompagnavano. L'aria era piacevolmente tiepida. Sembrava impossibile che avesse nevicato pochi giorni prima, a maggio. Le detonazioni erano meno forti. Più lontane, e più rade.
Qualcuno affermave di riuscire a vedere le granate di mortaio che ci passavano sopra la testa. Io non ne le ho mai viste. Però le ho sentite quel 25 maggio. Un lieve fischio che fa alzare lo sguardo al cielo. Fa tendere l'orecchio, per cui si distingue il "puf" del colpo successivo che parte, e che poco dopo fischia sopra la tua testa.
Il giardino di Mama Lidija, e la casa dove vivevamo, sull'altro lato della strada. era appena fuori Tuzla, a Solina, adossata a colline che la separavano dalla linea di fronte. I nostri predecessori che avevano individuato l'alloggio illustravano la scelta come assolutamente tattica. "Le granate qui passano alte e vanno verso la città. Qui non cadono" dicevano. Avevo sentito il "puf" e il fischio a marzo (ero qui per una breve visita destinata a capire se me la sentivo di ricoprire il ruolo che mi si proponeva), quando un pezzo di metallo ra esploso in mezzo alle reclute in fila nel cortile della caserma creando pezzi di uomini e ragazzi. Avevo sentito il fischio anche in altre occasioni e di nuovo questo 25 maggio. E sentivamo le esplosioni in città... per fortuna che sale e sangue....

Poi vi fu una esplosione. Molto forte. Non avevamo sentito il fischio. Più tardi ci avrebbero detto che era stato un obice da 120 mm. Sparato dal monte Ozren. Quasi dalla portata massima di quel cannone. Una botta di culo per chi operava al cannone. Una condanna per 71 abitanti di Tuzla dai 3 mesi ai 33 anni. Un obice era caduto sulla Kapija, la piazza centrale di Tuzla, dopo anni di tentativi. In un momento in cui la gente era andata in città, perché ci si stufa anche della guerra e se c'è il sole si ha voglia di andare in piazza. Vedere gente, bere un bicchiere e "fanculo la morte". Soprattutto se è la "Festa della Gioventù", celebrata nella ex-jugoslavia in concomittanza con il compleanno di Tito.
Invece la morte quel giorno non si è fatta mandare a quel paese. E' precipitata sulla Kapija, ha mietuto un terribile raccolto, ricchissimo, portando via una parte della città. Quella più giovane, con più speranze. Lasciando al suo posto una comunità in cui ognuno piangeva un parente, un congiunto, un amico, un padre, un figlio!

Il VHF impazzì. La comunità internazionale veniva coinvolta nel dramma della città. Alcuni, vicini al centro, coinvolti nel trasporto dei pezzi di uomini, donne e bambini in ospedale, altri, ordinati di rimanere al sicuro. Fino a sera tardi la radio riportò spezzoni di verità. Quella notte non si dormì e il giorno dopo, andando verso l'ufficio, si poteva respirare il dolore. L'aria di Tuzla era cambiata. Sale e sangue si erano incontrati. Di nuovo. Purtroppo. Pian piano scoprimmo tutta la verità.

I giorni successivi furono quelli del dolore della gente di Tuzla, nessuno di loro escluso qualunque fosse la loro religione. La loro "etnia". I loro morti riposano in una area destinata ad ospitarli nei giardini pubblici. Non lontano dal cimitero.

...

Dopo i bombardamenti NATO dell'autunno 1995, che dovevano convincere le parti a firmare gli accordi di Dayton, i mudjahedin che affiancavano l'esercito bosniacco sfilarono vittoriosi per la città portandosi appresso un cannone catturato sull'Ozren. Qualcuno diceva che era quello che aveva sparato l'obice maledetto. Ricordo un pezzo di metallo verde su ruote. Niente di che. Assurdo che abbia potuto provocare tanto dolore. Assurdo!


08 giugno 2015

Verso la certificazione di competenze

Con il documento del 22 gennaio 2015 la Conferenza Stato Regione fa un ulteriore passo verso l'implementazione di sistemi di certificazione di competenze. Una buona cosa, senonché l'approccio, finora principalmente top down crea aspettativa senza fornire risposte. Mentre le Regioni legiferano, pensano, ipotizzano, pianificano, il mercato del lavoro (che sarebbe fortemente e positivamente influenzato da questo strumento) arranca. E' ora di spiegare in modo pratico il processo di certificazione di competenze (cosa e'? a cosa serve? come si fa?) e lasciare che, in un processo bottom up, uffici pubblici e privati sperimentino sulla base dei repertori già esistenti. Senza particolari regole, che non servono finché si sperimenta senza certificare, ma sopratutto senza creare filtri iniziatici che porterebbero poi all'"albo dei certificatori" vanificando così il potenziale di uno strumento che, seppur all'interno di di codice di qualità ben definito (già esistente a livello europeo), dovrà essere ampiamente usato. Poi, sulla base dell'esperienza si potrano definire regole più stringenti. Queste somiglieranno molto, ci si può scommettere, a quanto già definito in altre parti d'Europa (perché tanto non c'è niente da inventarsi) ma l'esperienza pratica avrà consentito di applicare alla realtà italiani strumenti mutuati da altri paesi. Allo proviamo a definire le "3 cose in croce":  
- Cosa è la certificazione di competenze: un processo che attraverso la individuazione e validazione di competenze acquisite anche in ambiti informali e non formali (ossia ambiti non destinati a produrre formazione oppure totalmente destrutturati) consente da attestare quello che una persona sa e sa fare (conoscenze e capacità).  
- A cosa serve la certificazione di competenze: facciamo un esempio. Un lavoratore che per 30 anni ha lavorato nel metalmeccanico viene, a 55 anni, licenziato. Che ne sarà di lui? Un percorso di esplorazione delle sue competenze, acquisite anche in ambiti informali e non formali consente di scoprire che ha svolto anni ed anni di volontariato in una associazione sportiva acquisendo la capacità di fare girare una società. Queste capacità (e conoscenze) identificate, validate e magari certificate (con un attestato) potrebbero permettergli di trovare lavoro in un ambito (quello delle società sportive) totalmente diverso dal settore metalmeccanico, aumentando le sue possibilità di ricollocamento.
 - Come si fa certificazione di competenze: molto poterono gli standard, ben di più che le procedure. Standard di competenze dai repertori regionali; standard di comportamento (step by step, moduli, software) anche mutuati da altre realtà dove già si fa; standard di output (CV evoluto, descrizione per unità di competenze). Questi sono gli elementi minimi per avviare processi di identificazione e validazione di competenze. Sperimentati questi si deciderà come Scuole, Università e Regioni potranno certificare le competenze validate. Vedo già insorgere i puristi della procedura e della norma. Non hanno tutti i torti, ma il tempo stringe ed è un peccato rinunciare al potenziale di questi strumenti solo perché le Regioni non hanno ancora "spiegato come funziona". Alcune Regioni, più illuminate, hanno già dato il via alla sperimentazione pratica, accogliendo tutte le esperienza svolte sul territorio, per metterle a sistema.
Sperimentare, sprimentare, sperimentare! Solo così si riuscirà ad avviare processi di identificazione e validazione, che possano portare a certificazione, ma che siano, sopratutto, compatibili con le esigenze del mondo del lavoro reale, quello delle persone e delle aziende, della flessibilità (a doppia corsia), dei tempi mai sufficienti e dei costi sempre troppo alti.


06 febbraio 2014

Bilanci di Competenze: come usarli per favorire l'interazione tra individui e mercato del lavoro?

Rimandiamo ad una riflessione sull'uso di Bilanci di Competenze in azienda come strumento per gestire il personale nei momenti di transizione e, allo stesso tempo, fornire ai lavoratori uno  strumento di flessibilità sul mercato del lavoro. Il link

16 novembre 2012

04 novembre 2012

La macchina sociale

L'azienda è una complessa macchina sociale.
Come una macchina, funziona solo se il serbatoio contiene carburante, se i singoli pezzi del motore sono quelli giusti e correttamente abbinati tra di loro. Il suo fuzionamento deve essere congruo in termini di uso di risorse. Inutili inserire 3 pistoni se vi sono solo 2 cilindri, inutile caricare 4 litri di carburante se il serbatoio ne contiene solo 3. Mon solo inutile: dannoso! E a lunghe termine mortale!
Ma questa macchina è in realtà un organismo complesso creato, gestito, composto da animali sociali che interagisce a sua volta come un animale sociale, non potendo fare a meno della "gente", dello stato, dei rapporti e delle relazioni. Prendendo, bene o male, dalla società e restituendo, in bene o in male, alla società.

Non è semplice, pertanto, esprimere giudizi su vicende come quella dei lavoratori FIAT tesserati FIOM e reintegrati dal giudice. Ha senso provare a rabboccare il serbatoio già pieno? Si possono trattare i lavoratori come mele nel cestino (mettine 9, togline 9?).

Servirà una serie riflessione sul concetto di impresa per rispondere in modo serio alle problematiche sollevate dalla vicenda.

17 settembre 2012

Le competenze invecchiano!

Riporto un interessante report CEDEFOP (L'agenzia europea per la formazione) relativo all'obsolesecenza delle competenze dei lavoratori, con qualche accenno di indicazioni su come ridurre tale obsolescenza.
Per il report cliccare qui.

28 maggio 2012

Pillola di RU

La gestione delle Risorse Umane in Francia è una scienza evoluta che si preoccupa di tutte le fasi del rapporto di lavoro: dalla scrittura del CV... all'assunzione, alla gestione del rapporto nei vari aspetti.
Posto qui un link ad un interessante articolo multimediale de l'Express che tratta del conflitto tra due persone in azienda.
Disponibile a parlarne più in dettaglio

17 febbraio 2012

Pensioni ritardate o Invecchiamento attivo?

Posto un testo scritto a dicembre 2011


A una settimana dal consiglio dei Ministri dello scorso 4 dicembre, la situazione è chiara a tutti: l’età media dei lavoratori italiani si alzerà. Questo perché un numero considerevole di baby boomers, i “ragazzi” nati negli anni seguenti il 1948, dovrà aspettare più del previsto per raggiungere il momento agognato della messa a riposo.
In prima battuta i detrattori di questa decisione chiamano in causa il rischio di disoccupazione giovanile: sembrerebbe infatti evidente che la permanenza di anziani al lavoro rappresenta un vero e proprio tappo che impedisce l’accesso di giovani. Altri scherzano sul fatto che gli uffici dovranno essere dotati di cateteri ed altri equipaggiamenti ad uso geriatrico.
Più o meno serie, tutte queste posizioni esprimono, oltre ad una naturale opposizione ad una norma che prevede un allungamento della vita lavorativa obbligatoria, il timore che il permanere per più tempo al lavoro rappresenti uno sforzo difficilmente supportabile per i lavoratori.
Di fronte a questi timori degli individui quali debbono essere le preoccupazioni delle organizzazioni ed in particolare delle aziende?
 Di sicuro non si potrà semplicemente far finta di niente, e né la prolungata aspettativa di vita, né le norme sui lavori usuranti potranno ovviare ad un dato di fatto: nei prossimi anni le organizzazioni dovranno fare i conti con un certo numero di lavoratori un po’ più stanchi di lavorare, un po’ più demotivati e sicuramente delusi di come sono andate le cose.  Le organizzazioni che occupano questi “mancati pensionati” potranno scegliere tra due diversi atteggiamenti: subire il problema passivamente, oppure prenderlo in mano e gestirlo.
Così come hanno già timidamente cominciato a fare alcuni enti pubblici, anche le aziende saranno chiamate ad impegnarsi nella gestione del cosiddetto invecchiamento attivo in azienda: un mix di tecniche motivazionali, revisione dei processi organizzativi e attenzione alle esigenze di un individuo che vede progressivamente ridurre il proprio potenziale, le proprie forze. L’Italia non sarà sola in questo percorso, già avviato in molto altri paesi europei, dove la questione di un ruolo attivo degli anziani nella società è stato posto da tempo, non solo in risposta ad una prolungata vita lavorativa bensì come elemento di una civiltà caratterizzata da un importante crescita dell’aspettativa di vita.
Ma questo potrebbe non bastare ancora. In alcune attività lavorative, il crescere dell’età diventa un vero e proprio ostacolo. A quel punto potrebbe rendersi necessario un processo di mobilità verso lavori più adatti a persone anziane. Un processo non facile da gestire, per la necessità di prevedere azioni orientative e formative, che le aziende non sono sicuramente in grado di gestire da sole. Gli enti formativi e quelli che si occupano di collocamento lavorativo, pubblici o privati che siano, dovranno diventare attori attivi in questo processo.
In conclusione, è evidente che una misura, come questa decisa dal governo, non porta semplicemente un risparmio, ma impone anche di cercare soluzioni a nuove problematiche. Il mondo imprenditoriale, abituato a raccogliere le sfide, saprà farlo anche in questa occasione. E’ fondamentale che non venga lasciato solo. E soprattutto, tutti gli attori dovranno muoversi molto velocemente. Infatti, la Commissione Europea ha sancito che il 2012 sia l’Anno dell’Invecchiamento Attivo. Questo significa che saranno dedicate molte risorse per affrontare il tema. Vi saranno incontri e convegni, ma verranno previsti anche finanziamenti per sperimentare soluzioni, attivare servizi, consentire un invecchiamento attivo che dia il massimo di soddisfazione agli individui e diventi una opportunità anche per le aziende.  

07 febbraio 2012